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GIOVANNI PASSANNANTE - un anarchico lucano

Napoli, 17 novembre 1878. Nella ex capitale del reame tutto è pronto per accogliere festosamente il re Umberto, il monarca di casa Savoia appena salito al trono, e sua moglie, la regina Margherita. Con loro anche il principe ereditario Vittorio Emanuele, e il Presidente del Consiglio, Benedetto Cairoli. Il servizio d’ordine è imponente e penetrante, la polizia già da tempo perseguita e incarcera i repubblicani e gli appartenenti all‘Associazione internazionale dei lavoratori, prima sezione in Italia di un movimento anarchico europeo. Passa invece inosservato Giovanni Passannante, ventinovenne nato nel piccolo paese di Salvia, disperso sulle montagne dell‘Appennino Lucano, che, a Napoli da qualche mese, vivacchia come può e intanto si nutre di idee anarchiche ed utopie: vuole uccidere il re per realizzare, come dirà al processo, un mondo che abbia “come solo padrone Dio, come norma di vita la legge morale, e come interprete di questa legge il popolo”. Il mezzo per realizzare il suo progetto è un coltello, poco più di un temperino, col quale si avvicina alla carrozza che sta attraversando la Carriera Grande. Sembra che voglia rivolgere una qualche supplica al sovrano, ma invece sfodera l'arma, avvolta in una benda rossa con su scritto “Morte al re, Viva la Repubblica Universale, Viva Orsini". Ferisce lievemente re Umberto e più gravemente il Cairoli che interviene e consente che l’attentatore sia catturato. Durante il processo ribadirà la sua indipendenza da qualsiasi organizzazione. Condannato a morte, la pena gli sarà commutata in carcere a vita dallo stesso Umberto, che non volle farne un martire delle "plebi meridionali". Dopo dieci anni di lavori forzati, in una cella interrata in cui era incatenato giorno e notte, Giovanni Passannante finirà i suoi giorni nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino, senza nemmeno ricordare il suo tragico gesto. Intanto gli amministratori del suo paese natale, spaventati dagli stessi funzionari reali sulle conseguenze che l’attentato del loro concittadino poteva scatenare, in tutta fretta avevano cambiato il nome da Salvia in Savoia.

Testo tratto da "Le Valli del Melandro"
di Comunità Montana del Melandro, 1998

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